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Podere Fedespina
NULLA È COME SEMBRA
(un’indagine di Enrico Radeschi)

di Paolo Roversi  ♦

Il potente SUV del vicequestore Loris Sebastiani si arrampicava senza fatica risalendo il viale sterrato contornato da cipressi che portava al Podere Fedespina, nel cuore pulsante della Lunigiana. C’erano stati due giorni di piogge torrenziali ma, nelle ultime ore, per fortuna, il clima si era rasserenato.
Enrico Radeschi osservava la folta vegetazione che li circondava scuotendo la testa. Da quando avevano lasciato Milano, un paio d’ore prima, non aveva aperto bocca. Interpretava quella gita fuori porta come una sorta di punizione, visto che era stato invitato dal suo amico sbirro solo all’ultimo momento, come tappabuchi. Originariamente, infatti, il vicequestore aveva programmato quell’escursione enologica con la sua ultima fiamma, Genny, una giovane giornalista di viaggio che collaborava con diverse testate online. Siccome però la loro storia era prematuramente finita – per le solite ragioni che facevano di Sebastiani un donnaiolo impenitente e intermittente – il poliziotto non solo aveva assoldato Radeschi avvalendosi delle solite minacce del tipo ‘Se non vieni, non ti passo più nemmeno una notizia!’ ma gli aveva anche fatto promettere che avrebbe scritto un resoconto giornalistico dell’esperienza. Quello a cui stavano per partecipare, del resto, era un evento riservato solo a pochi eletti del mondo enologico di cui il vicequestore, grazie alla sua passione e alla fornitissima e ricercatissima cantina di vini che possedeva, faceva parte. Insieme a loro, una selezionata e ristretta cerchia di esperti avrebbe preso parte all’esclusiva degustazione del prestigioso cru Fedespina.
Enrico di vino e di degustazioni non ne capiva nulla, anzi le aveva sempre trovate piuttosto noiose, perciò aveva cercato di guadagnare qualcosa in cambio: la contropartita che aveva ottenuto era che il giorno seguente, cioè domenica, sarebbero andati a Viareggio a mangiare il pesce a spese del vicequestore.
“Non fare quella faccia, vedrai che ti piacerà” disse in tono allegro Sebastiani parcheggiando l’auto. “Guarda che posto splendido! E poi berrai anche bene, qui si produce un vino di eccellenza: il Fedespina è un rosso che non ha nulla da invidiare ai grandi vini toscani…”
“A me piace la birra artigianale…”
Sebastiani fece ruotare il sigaro che portava in bocca e che non accendeva mai: avrebbe voluto prendere Radeschi a sberle per quell’eresia che aveva appena pronunciato, ma l’altro non lo ascoltava più. Era già sceso dall’auto grugnendo e si era stirato le braccia dopo le ore d’immobilità. Doveva ammettere che il posto era davvero magnifico: un casale circondato dal verde e dalle vigne, abbarbicato sulla cima di una collina. La vista era stupenda e, se solo avesse fatto un po’ più caldo, avrebbero potuto godersi anche una nuotata nella piscina. Ma dato che erano in novembre era già tanto che non battessero i denti per il freddo…
Un timido sole si era fatto largo fra le nuvole e l’erba bagnata, ma ancora verde, luccicava sotto i raggi delle quattro del pomeriggio. Ad attirare l’attenzione dei due uomini tuttavia non furono le bellezze agresti, bensì una giovane donna vestita con stivali in pelle e pantaloni di fustagno che venne loro incontro agitando le braccia.
“Hey Loris, ciao!” esordì salutando Sebastiani, che mosse impercettibilmente il Toscanello spento che stringeva fra le labbra.
“La tua nuova fiamma?” sussurrò Radeschi.
“Macché: quella è Katia Ritter, l’enologa che oggi ci guiderà nella degustazione dei vini del Podere Fedespina!”
“Una donna?”
“Certo che a te Enrico non scappa nulla, vero? Credevi che solo gli uomini potessero diventare enologi? Lei è molto brava ed anche molto carina”.
Radeschi questo l’aveva già notato.
Katia gli venne incontro per presentarsi e stringergli le mani.
Occhi chiari e lunghi capelli castani coi boccoli, tanto da farla sembrare una delle Charlie’s Angels.
“Benvenuto Enrico: anche tu sei un amante del vino?”
“Oh, ma certo! Lo stavo giusto dicendo a Loris: pensa che c’è chi preferisce la birra a questo nettare degli Dei! Io quelli non li capisco proprio!”
Lei sorrise, mentre Sebastiani cominciò a far correre il sigaro da una parte dall’altra della bocca.
“Siete stanchi o vi va di dare un’occhiata alla cantina prima della degustazione? Hanno delle splendide botti in legno e anche in cemento vetrificato…”
“In cosa?”
“Cemento vetrificato, Enrico. Vetrificazione alimentare, ovviamente: all’interno sono trattate con pitture speciali per la conservazione del vino. Pensa che vengono prodotte a Livorno, e il procedimento per farle assomiglia a quello delle stive delle navi… Qui le usano per l’affinamento dello Spinorosso. Ora che l’hanno appena imbottigliato sono vuote in attesa della manutenzione. Ci puoi infilare dentro al testa se vuoi”.
“Non vedo l’ora. Andiamo!” rispose con entusiasmo il giornalista prendendo l’enologa sotto braccio.
A Loris non restò altro da fare che seguirli, iniziando a masticare il Toscanello per il nervoso come fosse chewing-gum.
Dopo il giro, in cui Radeschi restò appiccicato a Katia come un pesce all’amo, ai due ospiti venne assegnata una stanza all’interno della grande tenuta.
“Alloggiamo tutti qui” spiegò lei sorridente. “La mia stanza è la prima vicino alle scale”.
Enrico registrò l’informazione e appena entrato nella sua si fece una doccia gelata per calmare i bollori. Battendo ancora i denti, si gettò sul letto per riposarsi. Quell’ambiente lo metteva di buon umore: travi e soffitto di legno, pavimento in pietra e, dalla finestra, una veduta panoramica sulla vigna. Decisamente rilassante.
Alle sette precise il giornalista e Sebastiani scesero per la degustazione.
Katia si era cambiata: adesso indossava un tailleur scuro molto casto con gonna sotto il ginocchio. Radeschi la trovò bella anche in quella mise professionale.
Antonio, il vigneron nonché proprietario del Podere Fedespina, insieme alla moglie Mirta e al figlio Matteo, fece gli onori di casa accogliendo tutti gli ospiti nel grande salone dove, sopra un tavolo di legno posto al centro della stanza, erano allineate le bottiglie e i bicchieri.
“Benvenuti” li salutò, stringendo calorosamente le mani a tutti.
Alla spicciolata arrivarono anche gli altri partecipanti.
“Li conosci?” chiese Radeschi a Loris facendo finta di appuntarsi i nomi per il suo articolo.
“Ovviamente. Li ho già incontrati in altre occasioni”.
“Dimmi i loro nomi per favore”.
“Dunque, vediamo: quello calvo è un piccolo produttore di vini piemontese, Dario Giraudo. L’impettito che sembra un lord inglese invece è Piero De Angelis, critico di una prestigiosa guida enologica. La donna con quell’orrendo vestito da sera è Sarah Wilson, è una buyer di vini per non so più quale catena americana.”
“E quel panzone che non smette un attimo di lanciarmi occhiate assassine?”
“Oh, lui è Giovanni Landi, un avvocato di Firenze appassionato di vini…”
“Avvocato?”
“Già”, nonché ex fidanzato di Katia. Deve aver notato anche lui della tua infatuazione”.
“Io non ho nessuna…”
Radeschi s’interruppe perché Antonio aveva iniziato a distribuire i calici.
“Cercando un vino abbiamo trovato un grande amore” esordì. “La nostra è una produzione di nicchia, noi consideriamo il nostro vigneto come un giardino e come tale lo curiamo. Dovete sapere che tutti i nostri vini, il Fedespina da uve Pinot nero, il Ca’ da uve Merlot e lo Spinorosso, un blend Merlot 60% e Ciliegiolo 40%, sono prodotti in maniera naturale, senza uso di concimi chimici né diserbanti…”
Enrico smise di ascoltare e si concentrò sull’enologa. La gonna stretta le metteva in risalto le forme.
“… le rese sono basse, selezioniamo i grappoli sani e ricchi e diamo vita a vini con un livello minimo di solfiti, di struttura, freschezza ed eleganza. Con questi vini, il nostro obiettivo era quello di esprimere l’unicità di questa terra, l’alta Lunigiana, del suo microclima nel massimo rispetto per la natura…”
Anche il décolleté, seppur castigato, prometteva bene.
“… la ricerca della qualità in ogni dettaglio è per noi principio basilare di tutta la filiera: per esempio, dall’essiccatura delle fecce del vino si ottengono quei pigmenti da cui Matteo stesso estrae i colori per realizzare le nuove etichette… Ma ora, Katia, se vuoi cominciare a stappare…”
“Vi dispiacerebbe se lo facessi io?”
A parlare era stata la Wilson. Aveva estratto dalla borsa un cavatappi e lo mostrava con orgoglio.
“Vedete questo è il mio cavatappi d’oro personale: ci sono anche le mie iniziali incise sopra, SR. Lo porto sempre con me per stappare i vini migliori del mondo!”
“Ma certo!” acconsentì Antonio porgendole una bottiglia di Ca’. “Si accomodi pure”.
“Thank you!”
Mentre il vino respirava”, Katia iniziò a elencarne con professionalità le caratteristiche.
Dopo aver degustato i primi due, si arrivò finalmente al Fedespina.
“Questo è un vino di grande pregio secondo gli esperti” osservò Landi. “Degno dei migliori supertuscan…”
“I supertuscan sono grandi vini ma anche operazioni di marketing molto ben riuscite” ribatté Giraudo.
“Vero” convenne De Angelis. “E infatti nei test alla cieca il Fedespina ha sempre ottenuto risultati lusinghieri; sopra i 90 centesimi, quindi eccellenza. Anche meglio di molti suoi rivali più blasonati”.
Quando tutti furono serviti, la Ritter iniziò a raccontare il vino.
“Il Fedespina è realizzato in purezza da un vitigno di più di quarant’anni con metodo borgognona alla francese…”
Radeschi pendeva dalle sue labbra e la osservava con grande attenzione, senza però ascoltarla. Immaginava come sarebbe stato se dopo aver bevuto quello splendido vino loro due avessero…
“Enrico stai bene?” chiese lei a un certo punto vedendolo come ipnotizzato.
“Ce… Certo! Anzi volevo dire che il mio sa di vaniglia e pistacchio!”
Tutti lo fulminarono con un’occhiataccia e ci furono anche un paio di risatine nervose. La sommelier arrossì lievemente.
“Idiota, di vaniglia qui non c’è nulla!” lo zittì Landi sarcastico. “Anzi, sarebbe un grave difetto se si sentisse! Quanto al pistacchio, non si capisce proprio dove tu l’abbia pescato”.
De Angelis rise sotto i baffi e anche la Wilson appariva molto divertita di quella gaffe. Perfino Sebastiani se la godeva vedendo il suo amico fare la figura dello stupido: il solito bastardo!
Enrico decise saggiamente di tenere per sé le proprie osservazioni e di rimanersene zitto per il resto della degustazione. Finì così per scolarsi diversi bicchieri. Mentre gli altri assaggiavano, degustavano e abbandonavano il bicchiere mezzo pieno, lui si impegnava a finirlo a grandi sorsi chiedendo spesso il bis o addirittura il tris per “giudicare meglio il bouquet dei profumi”.
Alla fine della degustazione, quando ormai era mezzo sbronzo, seguì una cena a base di porcini raccolti freschi quel mattino stesso.
“Dopo tutta quella pioggia ne sono spuntati a decine” li informò Antonio. “E mia moglie Mirta li ha cucinati per voi!”
Alla fine del pasto, con la mente annebbiata dall’alcol, Radeschi pensava di trovarsi in una qualche sorta di paradiso: vino ottimo, cibo squisito e se solo l’enologa gli avesse prestato la giusta attenzione…
“Che ne dici di una boccata d’aria?” le propose.
Katia si alzò diretta verso l’esterno. Indossarono i cappotti e Radeschi si offrì di prepararle un’arrotolata col suo tabacco.
“È francese e lo faccio arrivare appositamente da Parigi. Buonissimo e profumatissimo”.
Lei sorrise e accettò l’offerta. Radeschi la fece accendere con un gesto galante e proprio mentre stava cominciando a raccontarle della sua professione di giornalista investigativo e hacker, il cielo venne squarciato da un fulmine e iniziò a piovere violentemente.
I due corsero all’interno per ripararsi in tutta fretta e Radeschi si disse che avrebbero ripreso il discorso il mattino seguente; peccato che per allora Katia sarebbe stata morta…

Il cadavere dell’enologa venne rinvenuto dopo più di un’ora di ricerche. L’appuntamento era fissato per tutti alle otto per la colazione, dopodiché ci sarebbe stato il rompete le righe. Attesero Katia fino alle otto e venti prima che Antonio, accompagnato da un preoccupatissimo Landi e a ruota da Radeschi, si decidessero ad andare a bussare alla sua camera. Siccome non rispondeva, il padrone della tenuta aprì la porta con il passe-partout.
“Qui ci sono ancora tutte le sue cose” osservò l’avvocato. “Quella è la sua borsa da viaggio e in bagno c’è il necessaire”.
“Anche la sua auto è sempre parcheggiata dov’era ieri” constatò Antonio affacciandosi alla finestra per guardare.
“Non potrebbe essersi allontanata a piedi?” chiese Radeschi.
“Impossibile” rispose Antonio cupo, “perché il cancello principale è ancora chiuso. Dispongo solo io delle chiavi e non l’ho ancora aperto”.
“Allora dobbiamo cercarla!” urlò Landi correndo fuori dalla stanza.
La notizia della scomparsa della sommelier arrivò subito nella sala della colazione e tutti si prodigarono per cercarla.
Il cadavere della povera donna venne così rinvenuto all’interno di una delle botti di cemento, in cantina.
Mostrava una profonda ferita al collo che ne aveva quasi sicuramente causato la morte. C’era sangue ovunque e lo spettacolo era orribile.
Enrico, bianco come un cencio, distolse lo sguardo mentre Landi prima iniziò a disperarsi e poi si scagliò a testa bassa proprio contro il giornalista.
“Sei stato tu, bastardo!”
“Io? Ma sei pazzo?”
L’avvocato l’aveva afferrato per il bavero sollevandolo da terra.
“Ti ha respinto e quindi l’hai ammazzata! Lei voleva tornare con me, lo so. Ma tu ce l’hai impedito!”
Dovettero intervenire De Angelis e Sebastiani per dividere i due prima che si pestassero a sangue.
A quel punto Radeschi avrebbe voluto andarsene di corsa per evitarsi quel grattacapo ma il suo amico sbirro, ovviamente, era di parere opposto. Estrasse il distintivo e diede il via alla danze.
“Da questo momento nessuno tocchi più niente fino all’arrivo dei Carabinieri di Pontremoli. Mentre li aspettiamo ci raduneremo nel salone e io provvederò a sorvegliare tutti i presenti: se il cancello principale non è mai stato aperto significa che l’assassino è uno dei presenti”.

Il maresciallo dei Carabinieri della stazione di Pontremoli si chiamava Maurizio Calcaterra ed era un trentenne sveglio con due baffetti appena pronunciati e la divisa impeccabile. Insieme a lui c’erano l’appuntato Esposito e il medico legale Rosario Iannone.
Le operazioni si erano svolte con la massima celerità e Sebastiani, in quanto vicequestore, era stato reso partecipe delle varie fasi dell’indagine.
I sospettati, compreso Radeschi che era stato visto flirtare tutta la sera con la vittima, erano stati rinchiusi nel salone della tenuta sorvegliati a vista da Esposito mentre il vicequestore e il maresciallo ascoltavano il responso del medico legale.
“La vittima è deceduta intorno a mezzanotte. È stata colpita più volte con un oggetto acuminato alla base del collo. Prima le ha reciso la carotide e poi le ha causato un’emorragia che ha condotto alla morte”.
“L’hanno messa qui dentro ancora viva?”
“Sì, maresciallo. La poveretta ha agonizzato finché è morta dissanguata. Vista la particolare struttura in cemento direi che anche se avesse urlato – ma nelle condizioni in cui si trovava, dubito che ci sarebbe riuscita – nessuno avrebbe potuto sentirla”.
“Terribile…”
“Cosa può dirci dell’arma del delitto? Si tratta di un coltello?” chiese Sebastiani, iniziando a mordicchiare il sigaro.
“Non direi proprio. In effetti la ferita è molto strana. Se dovessi fare un’ipotesi, per quanto assurda, direi che è stata colpita con una sorta di grossa vite”.
Il vicequestore, a quel punto, non aveva bisogno di ulteriori conferme: aveva un pista.
“Andiamo” ordinò al giovane maresciallo che, confuso, si congedò dal medico e lo seguì ubbidiente.
“Dove?” chiese quando si furono allontanati.
“Dobbiamo perquisire le stanze e gli effetti personali degli ospiti: se troviamo l’arma del delitto, troviamo l’assassino”.
“Perché ho l’impressione che lei abbia già capito come sia stata uccisa la signora Ritter?”
Il sigaro roteò nella bocca del vicequestore.
“Diciamo che ho una teoria: le persone che si trovano qui sono tutte esperte di vini e mi gioco il distintivo che per uccidere hanno utilizzato un cavatappi!”
“Un cavatappi?”
“Sì, di quelli da sommelier, con la vite autofilettante che viene infilata nel sughero del tappo per estrarlo… E indovini un po’? Ieri sera uno degli ospiti si vantava del suo personale cavatappi. Cominciamo la perquisizione da lui. Anzi da lei, visto che si tratta di una donna: Sarah Wilson”.

Le perquisizioni nelle stanze anziché semplificare le indagini le complicarono. E di molto. Unica nota positiva: nella camera di Radeschi non vennero ritrovati indizi compromettenti e lui, su insistenza di Sebastiani, poté unirsi al vicequestore e al maresciallo Calcaterra per le indagini.
La loro base operativa era la piccola cucina della tenuta. Il carabiniere passeggiava avanti e indietro scuotendo la testa.
“Tutto questo non ha senso”.
“Ne ha invece perché l’omicida vuole confonderci” commentò Sebastiani, infilandosi un nuovo Toscanello fra le labbra. Il precedente era finito nella spazzatura dopo che l’aveva masticato per il nervoso.
Solo Radeschi pareva intravedere un quadro chiaro nella situazione assurda che si trovavano a fronteggiare. Aveva la testa china sul suo portatile e sembrava interessatissimo a quello che stava leggendo.
“Prima cercavamo un sospettato e ora ne abbiamo addirittura tre!” sbottò Calcaterra.
“Riconsideriamo tutto con calma” lo esortò Sebastiani.
“D’accordo”.
“Dunque: abbiamo appurato che l’arma del delitto è il cavatappi della Wilson, visto che sopra c’è il sangue della vittima. Il che ci porterebbe a sospettare di lei”.
“Su questo non ci piove”.
“Esatto. Peccato che l’abbiamo ritrovato nella stanza di De Angelis e non in quella dell’americana, il che ci fa presupporre che sia stato lui a uccidere Katia Ritter. Se non fosse che…”
“… che nella camera di Landi abbiamo rinvenuto un grosso asciugamano insanguinato, il che ci indurrebbe a pensare che anche l’avvocato sia coinvolto nel delitto”.
“Un bel rompicapo davvero!”
“Tu Enrico cosa ne pensi?” chiese alla fine Sebastiani sconsolato.
“Ho una mia teoria” rispose il giornalista chiudendo il suo laptop. “C’è uno schema”.
“Spiegati meglio”.
“Vogliono farci credere che tutto è come appare, invece nulla è come sembra”.
“Non ci ho capito niente” confessò Calcaterra.
“D’accordo, allora vi faccio una semplice domanda: perché Landi o la Wilson o De Angelis avrebbero dovuto uccidere la Ritter?”
Loris si passò il sigaro da una parte all’altra della bocca mentre ci rifletteva.
“Per i soliti moventi: gelosia, invidia, brama di potere…” rispose il maresciallo.
“Esatto. E tutti questi motivi ce li hanno offerti su un piatto d’argento, quasi che potessimo scegliere il può adatto…”
“E quindi?”
“E quindi non dobbiamo lasciarci ingannare da quello che sembra, ma dobbiamo interrogarci sul vero movente”.
Mentre lo diceva, Radeschi prese da uno scaffale un libro dalla copertina rossa.
“Cos’è?” chiese Sebastiani.
“Non la riconosci? È la guida di vini più famosa in circolazione. Ce n’è una copia in ogni stanza visto che il Fedespina vi è stato recensito benissimo. L’ho consultata online poco fa”.
“Questo come ci aiuterebbe?”
“Mi ha permesso di trovare il nostro movente, Loris”.
“Chi è stato dei tre, allora?” domandò Calcaterra impaziente.
Radeschi scosse la testa.
“Nessuno di loro”.
“Impossibile!”
“Invece tutto quadra: il nostro assassino ha dapprima sottratto il cavatappi alla Wilson, assicurandosi così il primo sospettato; ci avrebbe magari fatto ipotizzare una rivalità fra donne… Ha poi ucciso la Ritter facendo bene attenzione ad avvolgersi in un grosso asciugamano mentre compiva il delitto: tutti sanno, almeno per averlo visto nei film, che accoltellando una persona ci si sporca di sangue… Quindi, dopo aver nascosto il corpo nella botte di cemento per guadagnare tempo, ha lasciato l’asciugamano nella stanza di Landi, l’ex fidanzato che avrebbe potuto uccidere la donna in un raptus di gelosia. Infine, e qui sta il vero obiettivo, ha fatto in modo che il cavatappi insanguinato venisse ritrovato nella stanza di De Angelis, l’agnello sacrificale”.
“Non capisco” l’interruppe il maresciallo. “Chi è che avrebbe architettato un piano così diabolico?”
“L’unico che non abbiamo sospettato ovviamente: Dario Giraudo”.
“Il piccolo produttore di Barolo? E perché l’avrebbe fatto?”
“Per vendetta, Loris. Come succede spesso. Cercate sulla guida: l’ultima annata della sua cantina è stata stroncata. E indovina chi è stato a stilare quel giudizio infamante?”
“Il critico De Angelis!”
“Esatto: Giraudo ha ucciso la Ritter per far ricadere la colpa sul critico e toglierlo definitivamente dalla circolazione… Il movente è il più vecchio del mondo: la vendetta!”
“Questo mondo inizia a farmi davvero paura…” commentò il maresciallo.
“Farà ancora più paura a Giraudo quando lo arresteremo e lo torchieremo fino a farlo confessare” chiosò Sebastiani.
I due uscirono diretti verso il salone, mentre Radeschi rimase solo nella piccola cucina. Trovò una bottiglia di Fedespina rimasta aperta dalla degustazione della sera precedente, se ne versò un generoso bicchiere e, prima di berlo, sollevò il calice per un brindisi immaginario alla memoria della povera sommelier.