Masseria Susafa’U STRATTU
di Daniela Cicchetta ♦
La donna attraversò il Baglio con un cesto di vimini pieno di ortaggi, lo teneva poggiato sul fianco e aveva un’andatura sbilanciata, il corpo esposto all’indietro e il bacino proteso in avanti. Indossava pantaloni alla cavallerizza e una maglietta bianca, gli stivali da cavallo della passeggiata mattutina erano sporchi della terra dell’orto. Arrivò sull’uscio del vecchio Palmento, attualmente adibito a bar e living room, Manfredi si alzò per andarle incontro e aiutarla:
“Lo dia a me, dev’essere pesante…”
Lidia gli sorrise e cedette alla galanteria, l’uomo lo posò sul tavolo, poi osservò la donna scegliere un pomodoro maturo e morderlo, bevendone il succo.
“Buonissimo! Oggi fa veramente caldo!” esclamò, con le gote rosse e la fronte leggermente imperlata di sudore.
“Quando picchia il sole siciliano di agosto non ce n’è per nessuno!” sentenziò Manfredi.
“Già, però ne è valsa la pena di raccogliere tutte queste verdure con le mie mani, e poi c’era lo Chef che mi consigliava cosa prendere per la cena…” lo disse spolverandosele dalla sottilissima terra che le aveva ombreggiate. “Ah, ecco! Sta arrivando anche mio marito, era andato a riconsegnare i cavalli mentre io mi sono avviata nell’orto, più tardi c’è il corso di cucina e non volevamo perdercelo…”
“Buongiorno, Manfredi” esordì l’uomo, varcando la soglia e togliendosi gli occhiali da sole, mentre gli porgeva la mano con entusiasmo. “Che posto incantevole! Siamo qui da una settimana e vorremmo che questa vacanza non finisse mai, all’idea di ripartire domani provo già un po’ di malinconia”.
“Grazie, sono felice che vi siate trovati bene”.
“Guardi, per noi è stato come fare un salto indietro nel tempo, avevamo letto delle recensioni, ma mai avremmo potuto solo immaginare quello che ci avrebbe regalato questa vacanza, è come se qui tutto fosse rallentato e poi questo continuo contatto con la natura è stato una mano santa per riprenderci dalle corse di tutto il resto dell’anno”.
“Ora, però, devo portare gli ortaggi in cucina” esordì la donna, “mi hanno detto che al corso possiamo cucinare con lo Chef e anche imparare a fare la pasta in casa. Mi piacerebbe! Ricordo quando la faceva mia nonna, io non ci ho mai provato, sa, la vita di città regala tempi stretti”.
“Bé, ha ancora un giorno per recuperare, e per gli ortaggi non si preoccupi, ora ci penso io a farli consegnare” rispose Manfredi. “Ma, ditemi, com’è andata la mattinata a cavallo?”
“Semplicemente fantastica! Siamo usciti sul presto, avevamo la guida e abbiamo percorso dei sentieri suggestivi nel Parco delle Madonie, un paesaggio bucolico e vaste pianure ci hanno riempito gli occhi! Un incanto. E ora non vedo l’ora di spizzicare qualcosa e di farmi un bel bagno in piscina, in attesa della lezione di cucina di oggi pomeriggio! Prima, nell’orto, quando ho raccolto quei pomodori succosi, lo Chef mi ha detto che mi mostrerà l’oro rosso che ne deriva, ma non ho capito bene a cosa si riferisse. Lei ne sa qualcosa?”
“E come potrei non saperlo!? È uno dei miracoli gastronomici che avvengono in quasi tutta la Sicilia e, in special modo, qui a Polizzi e zona limitrofa. Stiamo parlando de ’u strattu!”
“’U strattu? Cos’è?”
“Venite con me…” suggerì Manfredi, invitandoli a seguirlo sui gradini di una scala di ferro esterna alla struttura che li accompagnò su un ampio terrazzo assolato. “Vi voglio presentare la signora Maria, che ancora oggi si occupa di farlo come una volta”.
Una donna con il foulard in testa era tutta intenta a rimescolare una salsa densa su una grande tavola di legno, si scambiarono i saluti e quella riprese alacremente la sua operazione.
“Mi sta incuriosendo, lo sa? E ora, la prego, mi racconti di che alchimia sta parlando”.
“Fare ’u strattu era un rito al quale partecipavano tutti, gli adulti e i bambini, e si lavorava sodo per almeno tre giorni per non compromettere il risultato finale. Una tradizione ben ancorata e tramandata”.
“Addirittura tramandata? Come una dote?”
“Bé, saper fare ’u strattu è quasi più di una dote, è un pezzo della cultura siciliana! Ma vorrei lasciare a Maria il compito di raccontarvelo”.
La donna sorrise, arricciando le rughe d’espressione che le ricamavano il volto e con fare gentile disse: “Allora, prima di tutto bisognava comprendere quale fosse il giorno buono per iniziare, perché lo scirocco era il vento più temuto, e quello, il pomodoro, invece di farlo addensare, lo faceva inacidire…”
Fu quando la donna prese a narrare di tempi lontani che ebbe inizio la magia, i due ospiti, guidati dalle sue parole e dalle descrizioni minuziose, percepirono il tempo riavvolgersi mentre i colori accesi iniziavano a sbiadire, lasciando il posto a fotogrammi seppiati dal sapore antico.
All’improvviso gli sembrò di sentire delle voci e si affacciarono curiosi sul Baglio assolato dal quale saliva la calura, mentre la Masseria, nella loro immaginazione, si accingeva a pullulare di persone in piena attività e si animava di intonazioni sovrapposte. Sentirono il fornaio urlare che il pane era pronto, mentre Serafino entrava con la sua cordata di muli carichi di grano appena falciato e i passeri legati alla cintura come trofeo di caccia: “Picciriddu, questi, con il sugo, non sai quanto sono buoni!”, stava raccontando a un ragazzino che lo seguiva passo passo, incuriosito.
Le finestre erano spalancate ad arieggiare le stanze, gli uomini attraversavano il Baglio trainando buoi e cavalli con le sporte piene, alcuni avevano fasci di legname sulle spalle, le coppole scure li riparavano dalla canicola mentre i fazzoletti neri come le vesti, legati sotto il mento, trattenevano il sudore della fatica di quella maestria, in gran parte delle donne, che non si era mai persa nel corso dei tempi. I picciriddi saltellavano intorno alle fimmine, intente a lavare e asciugare i pomodori raccolti.
“… che poi venivano scafazzatu cioè rotti, schiacciati e strizzati con le mani, senza usare coltelli o passapomodori e si lasciavano macerare al sole per alcuni giorni, e quando il composto appariva cotto al punto giusto si passava alla culatura, ovvero la spremitura del pomodoro in grandi maidde con le pareti in legno e il fondo bucherellato; le donne lo strizzavano con le mani, con una grande forza, fino a ridurlo a quasi una pasta densa che poi veniva lasciata ad asciugare ancora al sole per qualche giorno… mi ricordo mia nonna che diceva sempre: daricci l’urtima stringiuteddra, che poi era l’ultima strizzatina, ma si sa, si creano sempre dei ruoli che sembrano svolgere dei rituali, guai se non l’avesse fatto lei!”
“E poi, che succedeva?” le chiese Lidia, tornando al momento presente ma ancora con la meraviglia negli occhi.
“La passata veniva salata, stesa in un sottile strato sulle maidde e lasciata di nuovo ad asciugare al sole, e poi riminata, cioè rimescolata continuamente con dei cucchiai di legno per rigirarla e ammucchiarla fino a che non era talmente concentrata da diventare di un rosso scuro molto invitante. Ovviamente, andava coperta con un velo di tessuto per tenerla al riparo dagli insetti, e quando il pomodoro era pronto te ne accorgevi, perché potevi staccarlo dalla maidda senza lasciare lo sporco, sembrava una marmellata. A quel punto, veniva conservata a ’o friscu, cioè al fresco, in modo che si stabilizzasse e poi si metteva in vasi di terracotta, sigillata con uno strato d’olio per farla durare tutto l’anno. Quando si utilizzava, si aggiungeva dell’acqua per farla tornare di nuovo una salsa morbida e cremosa; ancora oggi le polpette di melanzane che si fanno qui a Susafa, cotte con questo pomodoro ristretto, sono uno dei piatti più graditi della nostra cucina”.
“Allora ecco perché lo Chef mi ha detto: prenda delle belle melanzane grandi, che stasera le farò cucinare e assaggiare una vera leccornia!”
“Ehm… ora mi spiace averglielo svelato, non glielo dica allo Chef, mi raccomando! Ci tiene ai suoi segreti culinari” e le fece l’occhiolino.
Filippo si intromise nel discorso dopo essere stato a lungo in silenzio, stava guardando ancora verso il Baglio, rapito.
“Sa cosa le dico, Maria? Che ogni avvenimento che ci viene narrato qui a Susafa ha il sapore di una Sicilia che non avremmo mai potuto immaginare. Ci è sembrato di vedere l’antica masseria operosa con tutti i suoi abitanti, come in un déjà vù, e questa tradizione del concentrato di pomodoro sarà una delle innumerevoli cose che non dimenticheremo mai. Mentre lei spiegava tutto il procedimento vedevo le donne vestite come nelle foto alle pareti, i ragazzini che gli correvano intorno chiedendo cosa potessero fare e quasi sentivo un profumo di pomodoro ristretto che mi ha fatto venire un languorino!”
Maria sorrise gratificata, le si leggeva negli occhi l’orgoglio per la passione che le era stata tramandata con amore.
Quando Manfredi risalì in terrazza li trovo intenti ad aiutare Maria, con due spatole di legno stavano rimestando quella salsa che si addensava sempre più.
“Vedo che ne siete rimasti coinvolti, le tradizioni siciliane aggregano sempre!”
“Già, ma ora dobbiamo correre a farci una doccia, abbiamo perso il senso del tempo e non possiamo presentarci a tavola ancora vestiti da cavallo!”
La mattina dopo, mentre Filippo caricava i bagagli e Lidia si intratteneva con Manfredi per l’ultimo saluto, notarono con la coda dell’occhio la signora Maria che avanzava verso di loro, era in fondo alla strada e camminava lentamente, con quel passo inconfondibile di chi ha una vita da ricordare e nessuna fretta di consumare quella rimasta.
“Aspettate ancora un attimo, Maria ci teneva a salutarvi…” suggerì Manfredi.
Quando li raggiunse, si accorsero che aveva tra le mani un vasetto di vetro pieno di una crema densa color porpora, stava guardando l’uomo come per ricevere un cenno di approvazione.
Manfredi si apri in un sorriso e disse:
“Questo è un po’ del nostro concentrato, non è molto ma è fatto come una volta!”
“Non sappiamo veramente come ringraziarvi, è un regalo graditissimo! E ora che, grazie a voi, conosciamo la ricetta, proveremo a rifarlo in piccole dosi sul nostro terrazzo. Abbiamo preso dei pomodori dell’orto, chissà!” disse Lidia, mostrando una cesta di vimini colma sul sedile posteriore della macchina.
“È vero” rispose Manfredi, “avete la ricetta, ma c’è un elemento che, purtroppo, non potrete trovare da nessuna parte, che esiste solo qui!”
“Allora c’è qualcosa che non ci avete detto? Un ingrediente segreto?” rispose allusiva Lidia, con un sorriso furbo sulle labbra, guardando la signora Maria.
“No, gli ingredienti ve li ho detti tutti, ma il sole siciliano, di certo, non lo potete portare con voi!”