Hotel Spadari al DuomoL’INVERNO DI CLAIRE
di Valeria Fugnanesi ♦
I fregi in terracotta si stagliarono d’un tratto nella nebbia. Le insegne sulla balconata oscillarono appena, accarezzate da vortici di foschia. La luna rischiarava il cielo notturno di febbraio. Claire attendeva solo da qualche minuto davanti al portone della Statale, ma pensò che forse avrebbe fatto bene ad andare via. Non fece in tempo a realizzare quel pensiero che già la figura di Gabriele aveva preso forma nell’aria lattiginosa.
Un attimo dopo stavano superando le siepi del cortile principale dell’Università per dirigersi a quello interno. Il porticato di granito rosa racchiudeva l’antica ghiacciaia, che ora ospitava la biblioteca di Filosofia. Del primitivo frigorifero rimanevano le fondamenta e le scale interrate sotto un grande lucernaio. “Dobbiamo andare lì” disse Gabriele, e indicò la scala antica, secondaria, che conduceva ai sotterranei dell’edificio. Percorsero un cunicolo illuminato da neon traballanti e, superata un’ultima porta, si trovarono al centro della biblioteca sovrastata dalla cupola di vetro. Gabriele fece qualche altro passo, e aprì l’ufficio. Nell’atrio la luce fioca del neon illuminò il viso della ragazza. L’ovale perfetto, la pelle morbida, delicata, lunare, gli occhi grandi. C’era qualcosa nel suo sguardo che Gabriele riconobbe. Una mancanza, la sua stessa malinconia.
Si erano conosciuti in una caffetteria in piazza Maria Beltrade, a pochi passi dal Duomo, seduti al bancone. Avevano ordinato lei un caffè americano, lui un espresso. Mentre Claire leggeva un libro, il barista le porse una tazzina. Lei sollevò lo sguardo, e lo vide. Un ragazzo che le sorrideva. Davanti a lui una grande tazza fumante. Sorrise anche lei. “Tuo?” fece lui. Lei annuì. Si scambiarono le tazze, Claire appoggiò il libro sul bancone, The Lives of the Artists.
“Do you study art?” domandò lui.
“Scusa?” rispose lei in italiano.
“Il Vasari…” fece Gabriele con lieve imbarazzo, e indicò il libro.
“No, cioè… Sì, studio arte”. L’accento era americano. Si presentarono. Gabriele. Claire. Piacere.
“Da dove?”
“New York, è lì che studio il vostro Rinascimento” rispose lei, e arrossì sotto le lentiggini.
“Dovresti vederle qui le opere… Quanto ti fermi?”
“Qualche giorno”.
“Poco più avanti, in via Torino, c’è una chiesa del Bramante, San Satiro, dovresti vederla”.
“L’ho già vista, è vicina al mio albergo” rispose Claire.
“E Botticelli a Palazzo Reale? Sono certo che quella ti manca…” disse Gabriele, e si stupì di quanto quella ragazza gli ricordasse le donne dell’artista fiorentino.
“E tu come conosci Bramante e Botticelli?” fece Claire.
“Dottorato in antropologia. Rituali e arte sono strettamente connessi, mi affascinano”.
“Qui vicino?”
“In Statale, è proprio qui dietro. La conosci?”. Claire annuì, e lo sguardo che gli restituì diede il coraggio a Gabriele di proseguire: “Come mai a Milano? Vacanza?”
“Ho deciso di seguire mio padre, viene qui almeno due volte l’anno, per lavoro”.
“Affari?”
“Diciamo di sì, è uno stilista”.
“Quindi sei qui per la settimana della moda”.
“Sì, è la prima volta per me… volevo staccare”.
“New York?”
“Non è New York… volevo solo cambiare aria per un po’”.
“Potremmo andare al Poldi-Pezzoli, qui vicino… gli studi antropologici non si fermano se mi prendo qualche ora di pausa. Lì ci sono molte opere degli artisti rinascimentali del tuo libro”.
Il telefono squillò in quel momento. Lei guardò il display, ma non rispose. Poi frettolosamente si alzò, lasciò una moneta sul bancone e scappò fuori. Gabriele la vide correre via, tra la folla di via Torino. Il Vasari era rimasto sul bancone.
L’indomani mattina Claire si recò alla stessa caffetteria. Chiese se avevano trovato un libro. Il barista non l’aveva visto. Stava andando via quando si sentì chiamare alle spalle. Claire sobbalzò.
“Scusa, non volevo spaventarti” disse Gabriele.
“Non ti preoccupare” rispose lei.
“Il tuo libro…” fece lui sollevando il volume. “Ieri ho fatto qualche ricerca, ho visto che hanno finito i restauri della Chiesa di San Maurizio, la chiamano La Cappella Sistina di Milano. E non è un eufemismo, è stata affrescata da grandissimi pittori rinascimentali lombardi come…”
“Mi spiace ma non posso… e ora devo andare, mio padre mi sta aspettando”.
“Permettimi almeno di accompagnarti in albergo” chiese Gabriele. Claire ripose il libro nella borsa e lo seguì.
Gabriele l’accompagnò fino all’ingresso dello Spadari al Duomo. “Domani?” le chiese. Claire non rispose, e superò la porta a vetri dell’albergo. Si voltò un attimo, prima di scomparire dietro la parete. Gabriele rimase lì, in piedi, a fissare il vuoto che aveva appena lasciato Claire nella hall turchese. Poi alzò lo sguardo: l’azzurro, in fondo, era interrotto da una parete di pietra. Un camino era sovrastato da una grande spirale quadrata, nel cui punto di fuga si incrociavano, perpendicolari, due barre di metallo. Al di sotto, una feritoia rettangolare. Prese il taccuino dalla tasca, scrisse: Domani, ore 20:00, ingresso della Statale – Gabriele. Strappò la pagina, la ripiegò con cura, e chiese al portiere di consegnarla all’ospite appena fosse uscita.
E adesso erano lì, nella penombra della biblioteca di Filosofia, nei sotterranei della Statale. Gabriele entrò in ufficio e prese un mazzo di chiavi dalla scrivania del suo professore. Si avvicinò a Claire: “Adesso possiamo andare” le sussurrò.
Claire guardò ancora un attimo il cielo, poi lo seguì.
Ripercorsero la strada per tornare all’albergo e svoltarono poco prima, in piazza Maria Beltrade, dove si erano incontrati le due mattine precedenti. Gabriele sorrise nel vedere il tavolino che avevano occupato insieme.
“Dove mi stai portando?” chiese lei.
“Ancora pochi metri e lo saprai” rispose Gabriele.
Superarono la piazza e via delle Asole, e si trovarono al fianco di un grande edificio. “Questa è la Pinacoteca Ambrosiana” disse Gabriele, “ma non è qui che ti voglio portare”. Proseguì e si fermò davanti a una porticina di legno: “Ci siamo”. Scelse una chiave massiccia dal mazzo e aprì la porta. Prese due torce, una la porse a Claire. “Ti servirà” le disse. La porta si affacciava su di una scalinata in pietra che, raccontò Gabriele, scendeva a spirale fino nei sotterranei della costruzione.
Claire illuminò le pareti scavate nella roccia che trasudavano di condensa. Gabriele era due gradini avanti, camminava deciso. Prese a parlare: “Questa cripta è chiusa da quasi cinquant’anni. Ora è in ristrutturazione. Io affianco i restauratori”.
Più scendevano, e più i sassolini scricchiolavano sotto le suole: “Fermati, spegni la torcia” disse Gabriele. Claire dopo un attimo di esitazione prese coraggio e obbedì, lui fece lo stesso. Il buio. “Tieniti a me” Claire appoggiò la mano sulla spalla di lui. “Adesso senti cosa raccontano queste pareti”.
Nel silenzio ovattato Claire poteva sentire l’eco del loro respiro, le pulsazioni del suo cuore sempre più veloci. La mente, per un attimo, si svuotò da ogni pensiero. “Accendi la torcia”.
Al di là di un grande arco in pietra, colonne si susseguivano fino al centro della cripta. Claire fece scivolare la mano fino a sfiorare quella di lui, la strinse. Gabriele le diede il tempo di esplorare l’ambiente con il piccolo cono di luce, poi prese a parlare: “È la cripta del Santo Sepolcro, dimenticata dai milanesi per anni. Lì al centro è conservata una copia del sepolcro di Cristo, o per lo meno una copia di ciò che i crociati raccontarono di aver visto a Gerusalemme”. Claire, come svegliata da un sogno, ritrasse la mano, Gabriele proseguì: “Vicino, una statua di Carlo Borromeo in adorazione del finto sepolcro. Vieni”.
Claire illuminò gli affreschi medioevali e i lastroni di pietra, i soffitti ad arco, la gabbia centrale con il Santo in adorazione del simulacro. Poi Claire si fece condurre fino a una grande palma di bronzo.
“Questa palma è nell’esatto punto d’incrocio tra Cardo e Decumano, le due vie principali della Milano romana” raccontò Gabriele. “In questo momento siamo nel centro esatto dell’antica città, e camminiamo nel vecchio foro”. L’ombra delle foglie bronzee si muoveva veloce sul soffitto della cripta, Claire illuminò i lastroni di pietra che la sorreggevano. Cadde una goccia di condensa, Claire trasalì. “Non ti devi spaventare, è tutto sotto controllo” disse Gabriele. Claire si strinse a lui. “Mi è venuto in mente quando ti ho accompagnata in albergo… e mi faceva piacere farti vedere cosa faccio”.
“Esattamente cosa fai?”
“Seguimi” la prese sotto braccio. La portò fino a un gruppo di oggetti scoloriti, protetti da un nastro giallo e nero che ne isolava il perimetro. Erano coppe e piccoli vassoi, statuette di animali e uomini. “Questi sono ancora più antichi, devono essere finiti qua durante la costruzione del foro. Sto cercando di ricondurli ad antichi riti pagani”.
“È affascinante”, disse lei. Sentì un brivido. “Ma adesso portami via”.
Mangiarono una pizza, poi Gabriele la riaccompagnò in albergo. La foschia della sera si era tramutata in piccoli aculei di ghiaccio che bruciavano il viso. “Vieni dentro” gli disse lei. Gabriele esitò, poi la seguì. Claire riferì che era con un ospite, si sarebbero trattenuti qualche minuto nella sala lettura. La donna alla reception annuì e sorrise. Si sedettero vicino al camino, Claire strofinava le mani per il freddo, Gabriele gliele prese. “Ti è piaciuto stasera?” le chiese.
“Domani torno a New York”. Gabriele le strinse le mani ancora più forte. “Io non posso…” proseguì la ragazza, “mi devo sposare… devo…” Claire si alzò. “Però sì, è stato bello stasera”. Gli diede un bacio sulla guancia, e si diresse verso l’ascensore. “Claire”, si sentì chiamare. Anche la donna alla reception alzò lo sguardo. Gabriele dopo un attimo d’imbarazzo proseguì: “Se cambi idea, cerca tra Cardo e Decumano…”
Claire sorrise, un sorriso malinconico, ed entrò nell’ascensore. Gabriele cercò qualcosa nella tasca.
Le porte dell’ascensore si aprirono al settimo piano, ne fece un altro a piedi e aprì la porta della camera. Si posò al corrimano e scese i gradini che portavano al letto. Senza neanche togliersi il cappotto, si sdraiò e fissò il soffitto. Erano bastati solo pochi giorni. Ripercorse i gradini e si affacciò alla finestra. Scostò la tenda. La foschia era sparita del tutto e le guglie del Duomo erano illuminate dalla luce dorata della Madonnina. Tra Cardo e Decumano, aveva detto Gabriele. Guardò la moquette, le valigie erano quasi pronte. Sentì una fitta allo stomaco. Poi tolse gli abiti ed entrò in doccia.
Il taxi l’attendeva all’ingresso, ma prima di uscire fissò il divanetto della sala lettura un’ultima volta. Alla reception, la donna le porse una brochure: “Grazie per il vostro soggiorno, fate buon viaggio”. Claire la mise in borsa e s’infilò nel taxi. All’altezza di piazza Maria Beltrade chiese al tassista di fermarsi: “Voglio vedere un’ultima cosa” disse. Il padre le sorrise e acconsentì. Claire si diresse alla cripta di San Sepolcro. Ne cercò la porta, girò la maniglia. Era chiusa. In una frazione di secondo realizzò che lei non doveva essere lì. Si strinse nel cappotto e infilò di corsa la via per il taxi. In pochi minuti si ritrovò all’aeroporto di Linate. Check-in, imbarco, e prese posto. Sistemò la borsa, un angolo della brochure sporgeva dalla tasca. La girò tra le mani; era piccola, quadrata. Elegante. La brochure dell’Hotel Spadari al Duomo. La prima pagina raffigurava la sala lettura: i divanetti e il grande camino di Giò Pomodoro. Le incisioni nella pietra, la spirale in marmo, le assi di metallo che s’incrociavano perpendicolari sulla fessura. Spalancò gli occhi e guardò fuori dal finestrino. I ghiacciai dell’arco alpino splendevano sotto il sole invernale.
Qualche mese dopo Claire tornò a Milano, da sola. Era fine settembre quando si registrò per la seconda volta nello stesso albergo. L’aria pesante di fine estate era tagliata da una leggera brezza serale, la gente s’infilava nei ristoranti del centro. Dopo aver ammirato il grande camino nella sala, Claire restò in camera fino a notte fonda, quando scese con un libro in mano.
“Buonasera signorina”, sorrise la donna alla reception. Claire sedette al divanetto, aprì il libro, la grande spirale in marmo alla sua sinistra, e mentre leggeva spiava con la coda dell’occhio la donna.
Tra Cardo e Decumano, le aveva detto Gabriele. Claire si alzò di scatto e guardò il camino, le due sbarre di metallo che si incrociavano perpendicolarmente sopra la feritoia. Infilò la mano. I polpastrelli sentirono qualcosa, ne tirò fuori un foglietto ripiegato che nascose nel libro.
In camera guardò il foglietto. Era stato difficile dire addio a chi l’amava tanto. Eppure… Prese un profondo respiro, lo aprì. Non andare, resta… e un numero. La città sotto di lei brillava di mille luci. Forse qualcuno avrebbe risposto. Forse…
[pubblicato in accordo con Gilam Agency
Giovanni Lamanna Agenzia Letteraria]