Turin Palace Hotel L’HOTEL DEI DESTINI RITROVATI
di Giorgia de Cristofaro ♦
Con un mazzo di tarocchi in tasca, le scarpe rosse ai piedi e il cuore palpitante per l’attesa, sedeva su una comoda poltrona in pelle nella hall di quel lussuoso albergo, aspettando che la Musa della creatività tornasse a fargli visita.
D’indiscussa eleganza, quel luogo era pieno di vita, storia e ricordi: nell’arco di due secoli erano passati di lì uomini e donne del calibro di Guglielmo Marconi, Pietro Mascagni, Arturo Toscanini, Federico Fellini, Helmut Newton, Maria Callas, Louis Armstrong, David Bowie, Sting, Liza Minnelli, Madonna, Mick Jagger, re, regine e capi di stato d’ogni parte del mondo. Il Turin Palace Hotel era, dal lontano 1872, il posto perfetto per organizzare balli in maschera, feste e ricevimenti da favola.
Fausto era sicuro che lì avrebbe rincontrato l’ispirazione perduta. Erano quindici anni che non riusciva più a pubblicare un libro di successo; eppure ne aveva avuto tanto di successo.
Aveva scelto Torino per quel weekend di riconciliazione con la sua arte perché lo avvicinava al suo scrittore preferito, quel Calvino che gli aveva insegnato il peso della leggerezza e il rigore dei sogni. Ricalcando le sue orme, aveva deciso di ripartire da un mazzo di arcani maggiori dei tarocchi marsigliesi. Dopo Il castello e La Taverna dei destini incrociati, Calvino avrebbe voluto scrivere una terza raccolta di racconti ambientata in un hotel. Uomini e donne con le loro storie intrecciate in una trama di carte che parlava al posto loro. Com’erano immaginifiche, simboliche ed evocative quelle carte. Ne sarebbero nate delle storie incredibili, se solo lui fosse riuscito a lasciarsi nuovamente andare al flusso creativo della coscienza pura.
Era ora di cena. Il ristorante dell’albergo era rinomato in tutta la città per come combinava modernità, tradizione e prodotti del territorio, tanto che era anche frequentato da gente che non pernottava in hotel.
Fausto aveva prenotato un tavolino appartato; da lì avrebbe potuto osservare la sala indisturbato e nessuno lo avrebbe notato mentre estraeva le tre carte dei tarocchi che gli avrebbero ispirato nuove storie da narrare.
Ordinò un “Menu degustazione piemontese” e gli venne l’acquolina in bocca solo a leggere i nomi di quei piatti. Scelse anche una bottiglia di Barbaresco del 2015: adorava quel vino a base di nebbiolo.
La bottiglia gli fu servita subito e, mentre accostava il calice alle labbra, inebriato dal profumo di fiori e frutta, vide affiorare dalla trasparenza di quel rosso intenso la carta del Matto. Gli si stagliò davanti come una rivelazione. Quel Matto che portava nel fagotto chissà che, incitato da un animale che sembrava stimolargli gli organi sessuali, lo esortava a mettersi in cammino con le sue nuove scarpe rosse. Proprio come quelle che lui portava ai piedi.
Fausto capì che era ora di iniziare.
Tra i tanti tavoli occupati, si concentrò su uno che ospitava un’elegante coppia di anziani: parlavano poco, ma si lanciavano degli sguardi che significavano un’intera vita passata insieme. Forse erano lì per festeggiare il loro cinquantesimo anniversario di nozze: avevano passeggiato sotto i portici e per le vie del centro, mano nella mano, come due fidanzatini; avevano preso un caffè in Piazza Vittorio e poi avevano raggiunto il mercato del Balôn a caccia di qualche oggetto antico che celebrasse il loro nobile passato da collezionisti… Ma quale poteva essere la loro storia? Sarebbero state le carte a rivelargliela.
Aprì il mazzo sotto al tavolo e ne estrasse tre: le poggiò sul tovagliolo e iniziò a osservarle. Il Mago o Bagatto, La Giustizia e Il Giudizio.
In men che non si dica testa, cuore e pancia di Fausto cominciarono a collaborare per associare immagini a invenzioni: probabilmente, da giovane, quell’uomo aveva fatto degli affari loschi, aveva contrabbandato in oggetti antichi e opere d’arte e grazie a quello aveva guadagnato molti soldi, come si poteva evincere dalla moneta che il Mago esibiva nella mano; poi, però, l’implacabile spada della giustizia l’aveva scovato e fatto punire. Per parecchi anni lui e la sua fidanzata erano stati separati, ma lei l’aveva aspettato con fiducia e amore. Uscito di prigione, l’uomo aveva deciso di cambiare vita: si erano sposati e avevano avuto anche un figlio, quell’essere celeste che sembrava ergersi da una tomba, in realtà era il simbolo di una nuova vita chiamata a rinascere dall’unico e vero giudizio, quello dell’angelo divino che tutto vede e tutto perdona…
L’arrivo dell’antipasto interruppe il viaggio della sua immaginazione, ma ne valse la pena, perché il cibo era eccezionale. Mangiò fino all’ultimo boccone, gustando fino in fondo ogni sapore, e finì con un sorso di vino.
Tornò alla ricerca di un nuovo tavolo da narrare.
Due uomini tedeschi, o svizzeri, conversavano amabilmente in quella lingua che per la prima volta non gli sembrava dura; dovevano essere uomini d’affari, forse venuti lì apposta per fare un tour di Roero e Langhe e scegliere nuovi vini pregiati da importare nel loro paese. Erano paonazzi dalla gioia e ogni tanto uno di loro alzava il tono della voce un po’ più del consentito; l’ambiente era lussuoso ed elegante sì, ma tutti sembravano molto rilassati e in armonia con lo scorrere del cibo, del vino e della conversazione. Quale poteva essere la storia di quei due uomini?
Fausto interrogò nuovamente gli arcani: La Papessa, Il Carro e La Torre.
Si sarebbero potute immaginare mille storie con quelle carte, ma Fausto scelse istintivamente la migliore: una donna austera e sempre intenta a studiare i libri contabili della sua azienda, che si occupava di import export, aveva deciso di mandare il suo figlio prediletto in giro per il mondo a trovare nuovi prodotti di qualità, mettendogli a disposizione ogni tipo di comodità, come si poteva evincere dalla corona e dal carro con tanto di baldacchino e cavalli che trasportava il ragazzo. Ma questi, evidentemente, aveva fallito nell’impresa. Gli altri due fratelli, invece, avevano deciso di scappare di casa, come rivelava la carta della Torre che esplodeva, e, guidati dal loro entusiasmo e dalla fiamma del destino, si erano messi a cercare per conto loro nuovi prodotti della terra da importare ed erano riusciti così bene nella loro missione che ora la mamma era bianca per l’invidia e il pentimento…
Il profumo degli Agnolòt del Plin interruppe il suo secondo viaggio e gli regalò un’altra esperienza sensoriale. Non riuscì a resistere neanche alla tentazione di bagnare un pezzo di pane nel sugo che colorava ancora il piatto.
Il secondo arrivò subito dopo e non fu da meno, ma proprio mentre Fausto era intento a gustarsi un nuovo sorso di barbaresco, il suo sguardo venne attratto da una donna che stava cenando al tavolo da sola.
Nonostante la matura età, era bellissima. I capelli lisci, lunghi e bianchi erano raccolti in una treccia e tenuti in ordine da un cerchietto sormontato da una camelia rossa. Indossava un giubbotto di pelle nera che lasciava intravedere la decorazione di un’ala bianca sulla schiena, una maglietta blu, dei jeans attillati e un paio di stivaletti in cuoio viola; abbigliamento insolito per un posto come quello, plausibile per un’artista.
Guardandola meglio ebbe la netta sensazione di averla già vista. Poteva essere un’attrice? Dal ciondolo che portava al collo, una sagoma di gatto mummificato, capì che doveva essere stata al Museo Egizio di Torino, il più grande al mondo, dopo quello del Cairo. Un luogo davvero sorprendente.
Sembrava che la donna stesse mangiando di gusto, ma aveva anche un’aria triste e pensierosa. Stava forse aspettando qualcuno che non era mai arrivato? Quale poteva essere la sua storia?
Fausto, per la terza volta, estrasse tre carte dal mazzo: Il Matto, La Temperanza e L’amore o Gli Amanti.
Il cuore cominciò a battergli forte e il sudore gl’imperlò la fronte: come un aforisma, quelle tre carte gli stavano parlando d’amore. Il Matto, con le sue scarpe rosse, sembrava proprio lui: camminava spedito verso La Temperanza, che sembrava proprio lei, con quel fiore in testa, le ali d’angelo dietro la schiena, il vestito blu e le scarpe viola… E il loro incontro culminava nella carta dell’Amore, dove l’uomo con le scarpe rosse (ancora lui!) si dilettava tra due donne, di cui una poteva essere l’affascinante sconosciuta e l’altra la sua Musa ispiratrice. Il terzetto era illuminato dai raggi di un astro e stava per essere colpito dalla freccia di Cupido.
La donna col giubbotto di pelle si alzò improvvisamente e lui decise di seguirla.
Lei si fermò per un attimo al bureau per ritirare una chitarra… Ecco chi era! Fausto realizzò in un attimo che si trattava di una cantante folk rock famosissima negli anni ’80, scomparsa dalle scene da un bel po’. Esattamente come lui.
La seguì fino all’ascensore e vi entrarono insieme. Lei spinse il pulsante dell’ultimo piano, quello che portava alla terrazza panoramica. Fausto non fece null’altro che guardarla. Lei ricambiò lo sguardo con una tale intensità che nessuno dei due riusciva ad abbandonare gli occhi dell’altro.
Giunti a destinazione uscirono insieme, senza parlare. Sulla terrazza non c’era nessuno. Era ormai calata la notte sui tetti di Torino, ma l’aria era piacevole e fresca. Le cime delle vicine montagne erano ancora innevate. La guglia della Mole Antonelliana, che ospitava il Museo del Cinema, puntava verso la luna come il proiettile del film di Méliès, come se i sogni visionari dei più grandi registi della storia fossero pronti a colonizzare nuovi mondi.
Lei si sedette su un divanetto, tirò fuori la chitarra dalla custodia e cominciò a suonare. Fausto si mise accanto a lei, completamente avvolto e trasportato da quella melodia che, a poco a poco, si stava trasformando in un canto armonioso.
Doveva essere una sua nuova canzone, oppure la canzone della vita, quella che non aveva mai fatto sentire a nessuno. Le note e le parole fluivano nell’aria come l’acqua nelle caraffe della Temperanza.
Fausto non la lasciò finire: spostò delicatamente la chitarra e cominciò a baciarla.
Magicamente il suono non cessò, continuava a fluttuare nell’aria emanato da chissà quali entità. La passione muta, senza passato né futuro, intrisa del mistero di corpo e cuore ignari della mente, li travolse.
Non pensarono neanche di raggiungere una delle loro due confortevoli stanze. Fecero l’amore lì, sul divanetto. E poi a terra. Coperti di buio e stelle. Mentre la musica di quella canzone continuava a vibrare. Si accarezzarono, baciarono, abbracciarono e guardarono a lungo. Senza dire nulla. Nessuno giunse mai a disturbare il loro incontro.
Mentre lei si rivestiva e sistemava nella custodia la chitarra, lui trovò una penna, prese dalla tasca le tre carte e su di ognuna scrisse qualcosa: su quella del Matto il suo nome, su quella dell’Amore il numero della sua stanza e su quella della Temperanza solo un punto interrogativo. Poi la lasciò andare, insieme al suo sorriso ritrovato.
Lui restò così, solo, spogliato, su quella magnifica terrazza. Non sapeva se fosse successo davvero o fosse stato solo un sogno a occhi aperti evocato dalla magia dei tarocchi. Ma, in fondo, cosa importava? Una buona storia non conosce altra strada che cominciare a vivere.