Bagno Malù Il MIO AMICO SINCERO
di Clio Petazzoni ♦
La fresca brezza settembrina soffiava timida dopo la grande afa dell’estate. Mi sentivo bene e volevo godere di quell’aria limpida e degli ultimi raggi di sole sulla mia pelle. Volevo trascorrere una giornata al mare, forse l’ultima della stagione. Avevo bisogno di stare sola, di pensare, di guardare dentro di me.
Telefonai al Malù, uno stabilimento balneare immerso nella natura, con il verde e la bellezza delle Alpi Apuane alle spalle a fare da cornice. Il bagno era noto per la sua riservatezza e per la serenità che vi si respirava. Il posto giusto per me.
Parlai con Lucio, che mi consigliò un ombrellone al bordo della piscina privata. Quella piscina di acqua di mare riscaldata, tutta idromassaggio, era la parte più intima ed esclusiva della struttura. Lì avrei potuto godere di tutta la tranquillità che mi serviva. Confermai la prenotazione per il giorno dopo.
Quando arrivai, mi accolse proprio Lucio, che mi accompagnò a vedere la cabina con doccia calda all’interno che mi era stata assegnata. Mi dette gli asciugamani per i lettini. Mi condusse poi in una delle due piscine, il ‘gioiello’ di casa Malù. Mi mostrò il mio tavolo rotondo coperto da un grande ombrellone, dove avrei anche potuto mangiare, e il pulsante per richiedere qualsiasi servizio veloce da parte dello staff senza dovermi nemmeno alzare. Poi mi lasciò, augurandomi una buona giornata.
***
Mi immergo nell’oasi di pace, metto gli asciugamani bianchi griffati Malù sui lettini davanti al tavolo e mi guardo intorno.
Mi sento in paradiso, non c’è ancora nessuno. Un profondo silenzio è interrotto solo dal cinguettio degli uccellini e dal gorgogliare della piscina. Sono attratta dall’acqua, mi immergo con venerazione, lentamente. Premo il pulsante dell’idromassaggio e mille bolle avvolgono il mio corpo come tante carezze. Sto lì, senza pensare, a ristorare il mio corpo e la mia mente.
Poi, appagata, risalgo e mi stendo ad asciugare sul lettino. Il mio corpo è fresco, imperlato di tante piccole gocce d’acqua.
Sto bene, guardo il cielo. Sono stupita, non è azzurro e limpido come l’acqua, ma è di un blu intenso, attraversato da soffici nuvole bianche che si muovono velocemente, trasformando in continuazione le loro forme.
Mi sovviene un ricordo lontano. Mi rivedo bambina sul prato davanti a casa, sola, mentre aspetto le amichette per giocare con le nostre bambole e, nella loro attesa, mi sdraio sull’erba soffice con le braccia aperte a guardare il cielo e le nuvole di passaggio. Che meraviglia! Mi piace, è il mio gioco preferito. Cerco di dare a quelle nuvole dei volti e delle forme a me conosciute.
Ed eccomi qui adesso, esterrefatta al mare, a rifare lo stesso gioco che la vita ‘da grande’ mi aveva fatto dimenticare.
Che giornata stupenda… Senza che glielo abbia chiesto, Lucio mi offre un aperitivo, sorpreso lui stesso dal mio silenzio, dai miei occhi gioiosi e dalla mia estasi.
La giornata passa veloce, mi sento rilassata, coccolata. È presto per andare a casa, voglio rimanere il più possibile in questo luogo di pace, dove si riavvolge il filo dei miei ricordi.
Mentre il pomeriggio sta per lasciare il posto alla sera, decido di fare una passeggiata sulla spiaggia.
Indugio ancora un po’, attendo rilassata l’ora giusta, solo qualche minuto, fra poco ci saremo. Mi siedo sulla rena con le braccia indietro, appoggiata sulle mani, le ginocchia piegate: sto aspettando lo spettacolo della natura che si chiama tramonto.
I miei occhi guardano il colore del mare mutare, rispecchiando quello del cielo mentre accompagna il sole a dormire tingendolo di mille sfumature, ogni sera diverse.
La sabbia si fa più fredda ma non mi muovo, il mio cuore è sereno, ricco di sentimenti e me ne andrò solo quando sarà scomparso l’ultimo semicerchio di sole.
Non sono pronta per rientrare a casa. Voglio rimanere in questa pace, a ripensare alla nostra lunga amicizia.
***
Ti ricordi quando ci siamo conosciuti?
Ero piccola, ero una bimba graziosa, tranquilla, curiosa nell’apprendere.
Ti ho guardato, mi hai guardata.
Eri pulito. Ti ho odorato e sapevi di buono. Tu, silenzioso, mi osservavi.
La mamma ci ha portato una scatola di latta di matite colorate e ci ha lasciati lì, da soli.
Ho aperto quel bel cofanetto.
Oh, quante belle matite!
Non ne avevo mai viste tante così tutte insieme allineate, una vicina all’altra, con colori che ancora non conoscevo. Avevo visto matite rosse, gialle, verdi, ma non sapevo che esistessero tante gradazioni dello stesso colore. Un vero e proprio arcobaleno.
Ho chinato il viso, ho appoggiato il mio nasino e ho aspirato il profumo del legno, l’ho catalogato come il profumo delle matite, quel profumo che riconoscerei a occhi chiusi e che mi accompagna ancora oggi.
Le ho guardate, ti ho guardato.
Tu eri lì che mi incoraggiavi, mi osservavi attentamente lasciandomi libera di scegliere il colore che più mi piaceva.
Mi piacevano tutti. Poi, con riverenza, con le mie piccole dita decisi di prendere l’azzurro chiaro, però non riuscivo a sfilarlo dal suo spazio nella scatola. Quei bastoncini colorati erano troppo vicini l’uno all’altro, giravano a vuoto sul posto rimanendo compatti come tanti soldatini.
Non ce la facevo proprio. Abbassai la testa e riguardai la scatola. Eppure, ci doveva essere un metodo, un segreto. La studiai con pazienza e infine mi venne un’idea. Con l’indice afferrai la punta del celeste e la sollevai, lei obbedì e la matita uscì. Ero soddisfatta, la giravo tra le dita, ma ancora non sapevo cosa disegnare. Ancora una volta, presi tempo e aspettai che mi venisse in mente qualcosa.
Alla fine, decisi. Ora che avevo fatto spazio nella scatola e le matite uscivano tutte facilmente, le avrei usate una alla volta partendo dal bianco fino al nero, inserendo l’azzurro al punto giusto.
Con sicurezza disegnai tante righe una sotto l’altra. Non erano esatte, non erano precise, alcune erano un po’ grosse e altre un po’ fini e a volte un colore si sovrapponeva all’altro.
Quando finii, presi ciò che avevo fatto, lo sollevai, prima lo guardai da vicino, poi allungai le braccia per vederlo anche da lontano. Era bellissimo, aveva ancora più sfumature delle mie matite colorate!
Pensai che quello che avevo creato era un piccolo pezzo di arcobaleno e lo strinsi al mio cuore.
Tu, amico caro, gioivi con me: ero stata brava.
***
Diventammo compagni di vita, lui mi aspettava e io non vedevo l’ora di ritrovarmi segretamente in intimità con lui, perché solo a lui affidavo i miei pensieri, i miei dubbi, le mie lacrime, le mie gioie.
Avevo sempre un pensiero per il mio amico del cuore, lo cercavo e quando mi mancava lo portavo con me.
Amavo stare con il mio amico fedele. Spesso in casa dicevo di fare i compiti, invece mi ritrovavo con lui e il tempo passato insieme non era mai abbastanza. Era sempre il primo a sapere tutto di me. E quale segreto più grande si può raccontare solo a colui che lo sa mantenere e custodire con zelo, se non l’amore di una adolescente?
Ero eccitata, impaziente, gioiosa, non stavo più nella pelle. Volevo rivelare al mio compagno di avventure cosa mi era successo quella domenica, e tornando a casa a piedi già pensavo a cosa gli avrei confidato, e con quali parole.
Così quando mi trovai di fronte a lui gli dissi:
“Ciao! Mi è successa una cosa straordinaria, fra un po’ svengo. Sono diventata rossa in viso e, come sai bene, quando i miei sentimenti prendono il sopravvento, la mia testa va in confusione. Le parole si aggrovigliano e non riesco più a fare un discorso costrutto, e prima di parlare devo pensare e mettere in ordine tutti i vocaboli. Insomma, per farla breve, ho combinato un pasticcio. Ora ti racconto per bene…
Ti avevo detto che domenica pomeriggio sarei stata invitata da una compagna di classe del liceo per il suo compleanno. Sapevi che ero emozionata perché avevo saputo che ci sarebbe stato anche qualche ragazzo della quinta e, fra questi, uno in particolare che si chiama Giulio, che mi piace tanto.
Bene, quando sono arrivata alla festa, Giulio era già lì. Lui si muoveva verso di me e io mi spostavo da un’altra parte. Mentre stavo per andare via, però, si è avvicinato e si è messo proprio di fronte a me. E io non sono scappata.
Lui mi ha fatto una carezza indugiando sulla mia guancia. L’ho guardato negli occhi, gli ho preso l’altra mano e l’ho appoggiata sull’altro lato del mio viso mettendo le mie piccole mani sulle sue. Ero disorientata… Ero stata proprio io a fare tutto ciò? Come un principe nelle fiabe, si è chinato e mi ha dato un bacio innocente sulla bocca.
I nostri sguardi si sono incrociati, poi sono andata via e non ci siamo neanche salutati.
Mi sembrava di avere la febbre, le mie labbra scottavano, mi bruciavano e avevo paura che la mamma se ne accorgesse. Che emozione, amico mio!”
Poi venne un giorno, diverso dagli altri.
Erano passati gli anni, ero cresciuta, ero una donna sposata, e dovevo dire al mio amico una cosa importante. Dovevo affrontare con lui un argomento delicato e non volevo né offenderlo, né sminuirlo.
Avevo paura che pensasse che non gli volessi più bene, ma i tempi erano cambiati e dovevamo affrontare una grande trasformazione, così decisi di scrivergli una lettera.
“Caro amico, prezioso compagno di vita, caro mio “Foglio Bianco”, abbiamo condiviso disegni, parole sparse, sentimenti e decisioni.
Caro amico sincero, ti voglio bene, tu mi hai sempre ascoltata senza giudicarmi, hai sempre mantenuto i miei segreti, mi hai vista crescere, hai visto la mia grafia cambiare da approssimata a ordinata, hai sopportato le mie cancellature e i buchi provocati dalla gomma.
La vita però è cambiata, ti sei evoluto anche tu, ora si scrive tutto al computer, ma non ti preoccupare sarai sempre bianco, semplicemente ti sentirai come dentro a un televisore e io continuerò a scriverti, però senza penna, matita e gomma.
Userò una tastiera e le mie dita correranno veloci sopra i tasti per comporre parole e frasi. Non ti spaventare, sei pronto? Proviamo subito, mi sono organizzata. Ti voglio bene, non essere in pensiero, fidati di me”.
Presi la lettera, la strinsi al cuore incrociando le braccia.
Poi, accesi il mio computer, aprii il programma di scrittura e apparve uno schermo bianco.
“Eccoci di nuovo, amico caro: sei bello, sei pulito, incomincio subito a scrivere, ho un sacco di cose nuove da raccontarti. Sei felice? Sono sicura di sì, perché l’importante è stare insieme, e non importa come”.
Ormai per noi era diventata una necessità quotidiana.
Il 3 aprile 1998, sembrava una giornata qualsiasi, ma non lo fu.
Ero davanti al computer perché dovevo parlare urgentemente con il mio compagno. Avevo preso una decisione e avevo bisogno del suo supporto.
“Ho bisogno del tuo aiuto, amico mio, ho la necessità di tornare al passato e scrivere su di te con la penna, come facevo un tempo, apponendo la mia firma a un documento che potrà salvare altre persone, e tu sarai mio complice e mio testimone”.
Presi dal cassetto della stampante un foglio bianco, lo odorai, impugnai la mia penna blu preferita e scrissi:
Mi chiamo Michela Rossi e sono una donatrice di organi.
“Speriamo di salvare delle vite, amico caro”.
Lo strinsi forte al cuore come facevo sempre. Poi, lo piegai con amore, aprii il portafoglio e lo misi insieme alla patente e alla carta d’identità.
Ero felice, e anche lui era felice: avevamo fatto insieme una cosa meravigliosa che si chiamava Amore.