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Podere La Regola
IL SOGNO DEL VINO

di Daniela Cicchetta 

I due fratelli entrarono dalla porta laterale della barricaia ma il Maestro non li sentì, aveva gli occhi chiusi e un pennello in mano. Al centro della parete, su uno sfondo completamente nero, aveva appena iniziato a trasformare il pensiero in vibrazione.
Somnium…” ripeté come un mantra tibetano che cominciò a rimbalzare sulle pareti svelando disegni che dovevano ancora essere tracciati. “Somnium…” e figure danzanti di costellazioni immaginarie apparvero come un universo di unità indivisibili in perenne transito tra una vita e l’altra. “Somnium…” sussurrò per un’ultima volta, poi aprì gli occhi e tornò a dipingere il grande pianeta dell’Umanità.
A quel suono, dal fondo della cantina, si materializzò un’imponente figura maschile, avanzava nel buio con una candela in mano, indossava una gorgiera plissettata primo ’600 intorno al collo, una sontuosa camicia e pantaloni a sbuffo dentro stivali dall’ampio risvolto.
L’uomo camminava lento guardandosi intorno, la barba pettinata e i lunghi baffi gli celavano il sorriso che le espressioni di curiosità, trapelanti dagli occhi vividi dei due fratelli, facevano sprigionare.
Flavio e Luca si guardarono increduli.
L’uomo li raggiunse e abbozzò un inchino piegandosi in avanti con la schiena rigida, il piede sinistro leggermente arretrato: “Giovanni Keplero, onorato di conos…” ma non finì la frase, fu subito attratto dal disegno sulla parete. “È così che si vede la terra dalla luna!” indicò il disegno con l’entusiasmo di un bambino, arrivando fino alle spalle del Maestro. Poi, piegando la testa con interesse, toccò con le dita curiose uno degli innumerevoli volti che stavano prendendo forma su una immensa sfera bianca: “Noi guardiamo il mondo dalla terra, ma non è l’unico sguardo possibile” e portò la mano ad accarezzare la barba.
L’uomo sembrava essere proprio ‘quel’ Keplero, i suoi lineamenti erano conosciuti, scoperti sui libri di astronomia e matematica. I fratelli quasi non ci credettero fino a che anche lui non pronunciò la parola “Somnium…”, accompagnandola con un sorriso beato, di soddisfazione, gli occhi chiusi e le braccia al cielo.
“È proprio così che si vede la terra dalla luna!” ripeté loro con enfasi, come se li conoscesse.
Flavio, guardandolo con stupore, replicò: “In che senso, intendi… Keplero?” e finì la domanda con un colpo di tosse.
“Nell’infinito senso che ha la relatività dello sguardo. Il quadro di osservazione cambia a seconda della posizione di chi guarda. Ne ho parlato nel mio ‘Somnium’, il libro uscito postumo poiché nessuno mi aveva preso sul serio. Fantasticavo anche che esiste una via tra la luna e la terra e che si può viaggiare con le eclissi, ma in realtà volevo solo sostenere la dimostrazione del sistema copernicano”. Alzò le spalle, aggrottò le sopracciglia e sospirò, forse ancora deluso.
Il Maestro intanto continuava a dipingere senza accorgersi di nulla, le voci sembravano non averlo turbato, Luca provò a sfiorarlo e si rese conto di non toccare materia.
“Non può sentirvi” disse all’improvviso una voce imperiosa alle loro spalle. Apparteneva a un uomo di media statura che indossava una specie di peplo e un mantello con un lembo sotto il braccio destro e il resto gettato sulla spalla sinistra. Antiche scarpe di cuoio con la parte anteriore appuntita e rivolta all’insù avevano reso i suoi passi felpati. Quando li raggiunse, chinò la testa e mise la mano a pugno chiuso sul cuore.
“Oggi è il 23 aprile, la festa di Vinalia, sacra per gli etruschi e dedicata a Fufluns, figlio di Semia” sottolineò l’uomo, come se fosse la cosa più normale, “e sono venuto ad assaggiare il vino nuovo!” e così dicendo porse la sua coppa con entrambe le mani; poi si distrasse, attratto dai volti che, sotto le mani sapienti del Maestro, stavano prendendo forma sul grande pianeta dell’Umanità.
Flavio e Luca si guardarono l’un l’altro con una punta di sgomento, quello che stava accadendo era surreale: si trovavano nella loro barricaia con ‘quel’ Keplero e un antico etrusco che teneva tra le mani una coppa in terracotta, una kylix come quelle esposte al Guarnacci, il Museo di Volterra. Socchiusero gli occhi per un momento e quando li riaprirono scoprirono larghi sorrisi sui volti dei due uomini.
“Ma è reale tutto ciò?” chiese Flavio incredulo, strizzando ripetutamente gli occhi.
“Vengo dal villaggio di Belora qui vicino e, se riesci a vedermi e a sentirmi, ti sei risposto” sentenziò l’etrusco con un leggero sorriso sulle labbra. “Cosa ti importa saperlo? Il cammino dell’anima è senza tempo, un continuo rigenerarsi, e il suo risveglio riguarda tutti. Del resto noi siamo quello che riusciamo a sognare”.
“Però, com’è possibile che ci capiamo pur appartenendo ad ere e lingue diverse… in che modo stiamo comunicando?” domandò Flavio.
“Con la mente o, se preferisci, con quell’anima che, come ti ha appena detto costui, è senza tempo” intervenne Keplero, mentre con la luce tremula della candela illuminava una a una le sei figure danzanti e le piccole monadi sulle pareti perimetrali. “Persino i pianeti sono spinti lungo le loro orbite da una forza motrice sprigionata dal sole, lo stesso sole che scalda quei grappoli d’uva destinati a divenire vino. Tutto è collegato. Tutto è uno”.
“Quella che stai osservando rappresenta la danza cosmica che custodisce il pianeta e le barriques dormienti” disse Flavio. “Noi amiamo la nostra terra e, quando raccogliamo le uve, le trasformiamo nel rispetto della loro essenza. I volti che il Maestro sta disegnando hanno gli occhi chiusi, in un religioso silenzio che culla il vino nel suo divenire e sono il simbolo dell’uomo che si guarda dentro”.
L’etrusco sorrise compiaciuto e, annuendo con la testa, aggiunse: “Qui, proprio dove si trova la vostra cantina e con la stessa filosofia ho fatto il maestro vinificatore. Me lo insegnarono i miei genitori, che erano non solo guerrieri ma abili viticoltori. Per noi etruschi non esisteva il confine tra il vino e la spiritualità, con il vino si celebrava l’amore e la morte”.
Poi gesticolò con le mani cercando di disegnare qualcosa nell’aria e dare così una forma a quello che stava dicendo: “La nostra vite aveva la forma di un piccolo alberello… ecco, alto all’incirca così! E le piante erano circondate da siepi, per proteggerle dagli animali al pascolo. In questo luogo, vicino alle acque del Cecina, le uve riescono a maturare bene perché il terreno è ricco di fossili, e poi il clima temperato della valle è proprio ciò che ci vuole… ma questo lo sapete bene! Noi raccoglievamo l’uva matura, la pigiavamo e la lasciavamo riposare in anfore di terracotta, non nel legno come fate voi. La fermentazione si compiva tra i cinque e gli otto giorni e il nettare che si produceva aveva un gusto così intenso che, per poterlo bere, lo si doveva mescolare all’acqua… ma era veramente buono, conservava il profumo del mare”.
“Ora però prova questo” esordì Luca, aprendo una bottiglia di rosso che sprigionò immediatamente note balsamiche così piacevoli che inebriarono e fecero chiudere gli occhi ai presenti, esattamente come i volti che il Maestro stava completando.
L’etrusco si avvicinò con la sua antica coppa, Flavio porse tre ballon e Luca versò il vino.
“Adesso aspettiamo un po’, non ha ancora finito il suo sonno, lo abbiamo appena svegliato. Ha fermentato nei tini e si è affinato in queste barriques di rovere francese per diciotto mesi, poi è rimasto almeno altri dodici mesi in bottiglia” suggerì Luca.
“È vero” continuò Flavio, “ha bisogno del suo tempo. Qui tutto segue i ritmi della natura, in sinergia e simbiosi con il territorio e il paesaggio. Noi crediamo che il vino sia uno dei piaceri che alleggerisce le contrarietà e i problemi dell’essere umano e ne pervade i sentimenti”.
Keplero illuminò con la sua candela una delle figure danzanti, dalla quale sembravano fluire dal cuore infinite piccole figure che si spandevano nell’universo, come a sottolineare un ciclo di rinascita.
Rimasero tutti e quattro incantati, mentre il profumo del vino pervadeva i loro sensi, alimentando la surreale conversazione e accompagnandoli in un viaggio senza tempo.
“Qual è il nome di questo nettare rosso?” chiese l’etrusco.
La Regola, come la nostra cantina” rispose Luca con un tremolio di emozione nella voce.
“Ha un colore violaceo, profondissimo, quasi nero” aggiunse Keplero, osservandolo controluce rispetto alla fiamma.
“Frutto rosso maturo in evidenza, prugna, ribes, mora, note vanigliate e leggera speziatura” suggerì l’esperto Luca, odorandolo profondamente prima da una narice e poi dall’altra.
“Già! È strutturato, morbido alla bocca, con tannino deciso ma non invadente” proferì Flavio, dopo averlo portato alle labbra con un pizzico di orgoglio.
“Signori, brindiamo dunque a Vinalia e al 23 Aprile!” propose l’etrusco, con tono di voce vivace.
“All’Umanità!” esclamò Keplero, portando in alto il calice.
“Sì, ma anche alla natura, ai suoi frutti, all’essenza della vita, all’anima, all’arte…” aggiunse Flavio. “… e a La Regola!” finì la frase Luca.
Tutto a un tratto, le loro voci furono sopraffatte da un sibilo:
“Sshhhh!”
Si voltarono, il Maestro Stefano Tonelli aveva posato i pennelli e li stava osservando con un sorriso sulle labbra mentre, chinando la testa, portava le mani giunte davanti al volto e poi le abbassava fino ad arrivare all’altezza del cuore.
Loro cominciarono a dissolversi e il vino nella barricaia riprese il suo Somnium.

(♫ di Francesco Landucci, “Le Anfore Etrusche”)